COMUNICATO STAMPA
A quasi un anno di distanza dall’inaugurazione della galleria SPAZIO voluta dalla Fondazione Zucchelli, continua l’attività espositiva con la quale si intende mettere in risalto l’opera dei
giovani artisti vincitori delle ultime due edizioni del Premio Zucchelli.
La prossima mostra, dopo la suggestiva installazione di Filippo Marzocchi, apre l’8 novembre con l’esposizione di Vittoria Cafarella, artista nata a Messina nel 1983 e formatasi tra l’Accademia di Belle Arti di Palermo e l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Il suo lavoro mostra spesso appunti, ritagli, frammenti di materiale archiviato: sono bozze, note pittoriche.
Le immagini proposte in questa occasione sono definite dall’artista Contingenze,in quanto rappresentano un’istantanea di una combinazione di elementi.
Come nell’opera vincitrice del Premio Zucchelli nel 2014, Vittoria Cafarella considera la pagina come contenitore di scritture e flussi di coscienza. “Scrivo, uso e rimaneggio materiale”, spiega, “che riguarda una dimensione semplice ed intima” e le offre combinazioni continue per condurre la narrazione.
Il suo lavoro quindi contamina materiali e metodi diversi, componendosi come un profondo omaggio alla memoria personale e alla sapienza costruttiva.
Le contingenze di Vittoria Cafarella Di Giovanna Caimmi
Torniamo a quel romanzo che non sono riuscita a finire, al meccanismo a orologeria di cui Berlioz viene informato dallo Sconosciuto: olio di girasole versato dalla ragazza del Komsomol, tram che passa mentre lui ci scivola e zac! Decapitato!
Nel Maestro e Margherita è il diavolo a informare il caporedattore russo che della vita non può avere padronanza, l’accadimento è già confezionato e la sera non seguirà al meriggio. Attoniti assistiamo insieme al Poeta – che per questa visione finirà al manicomio – agli ultimi quindici minuti della vita del supponente curatore.
Scusate, non è una divagazione. E’ che Cafarella tira fuori termini pericolosi a titolo della sua mostra.
Contingere significa accidentalità, eventualità, accadimenti non necessari, relativi o eventuali.
Ma anche con-tangere, toccare, ciò che ti tocca, che aspetta te, solo te.
Nelle sue flâneries, Vittoria – con quella maniera gattona che la caratterizza – accatta foglie e fogli, pezzi di carta, o come quella volta i nudi in cartoline anni cinquanta in un mercatino spagnolo. Riflette su come maneggiamo e trattiamo le immagini. E infine archivia, ma dove? dentro ad uno scanner – e mentre lo fa, con la pittura e le macchie d’olio commenta silenziosa ciò che ha trovato. Quella conchiglia tecnologica da tre anni le è indispensabile, non pensi, chi vede i suoi grandi plotter, a un uso diretto della fotografia. Quella la adopera solo per le documentazioni, a lavoro finito.
La scatola magica, invece, le garantisce l’oggettualità, la profondità, ma anche la nominazione. Gli oggetti che dicono: ecco, siamo stati qui, più oltre ci premono gli Déi, ma è cosa degli Déi.
Le chiedo il suo libro preferito, risponde: Ossi di Seppia. E lo fa come se fosse naturale questa predilezione antica. Che rapporto hai con la bellezza?, le faccio io allora. E lei indignata: odio quel termine, ce n’è un abuso in positivo e in negativo. Come si può voler fare un “lavoro brutto” Non credi che sia una Maniera? Grazie per avermelo ricordato.